30 ottobre 2008

Le tue novità

Le tue novità mi ribaltano.
Mi ri-baltano, che più in là di così non ti saresti mai spostato.
Ché doveva essere così, ché doveva andare così, che non hai fatto niente di niente perché non andasse così. Come quando ci s'ammala, letterariamente ci s'a-mala. Mala suerte. Mala vida. Come un (per)ché del decimonono. Così elegantemente breve, il tuo farSene una ragione.

Una ci prova ad attivare quella cazzo di biglia del flipper. A spararla in alto con la forza di un acheo, per vederla imbrigliarsi nelle luci anni ottanta. Galattiche. Troppo toste.
Ma se non le si risponde, se non la si riprende, lei non si riprende.

E me ne vado a Parigi, a guardarti dal ventre di mia madre.
Sul canal st. martin, appena dopo le sei.

Dove cazzo sei.

21 ottobre 2008

riBassi


mi sto riprendendo piano. con i fumi balsamici che mi sfondano le tempie. e sgomitano nell'olio delle mie pensate slegate. e anche le braccia le gambe le mani e i muscoli della cervicale si riprendono facendomi male. ma per il bene.
è il non vedersi mai per bene che stanca.
è il non vedersi mai per bene che salva.
ho pensato ad una strategia di fuga da windows. senza fare i conti con le sbarre.
che mi verranno a tirare fuori, per le orecchie a reclamare un rimborso spese.
di tutto il tempo che ho speso, e che ho dimenticato come.

come posso dimenticarmene.
che mi mettete sempre a posto i bassi voi, quando salite in macchina.
è lo stereo che non va, non i bassi.

del mio umore sono gli amplificatori.
non i bassi.

20 ottobre 2008

Il Parco delle mosche


Io. L'imperativo di dover restare se stessi, di ricostruirsi, se ci si perde nell'altro. Negli altri. Licenze poetiche fanno a botte con il correttore automatico del pc. Che, istituzionalmente, non esiste più. e non le voglio le maiuscole dopo il punto, cielo. non le voglio, ecco. mi piange l'occhio sinistro che ho dentro un sassolino, come nella scarpa, ma io ce l'ho nella palpebra. il momento migliore, oltre a te. quella passeggiata dove tu non c'eri, affogata, io, dal caldo di agosto, dalle due, dalle mosche e dal sole implacabile. dalle mosche, a migliaia. che metà nemmeno le vedevo, senza gli occhiali. non vedo nemmeno amtares e il cigno. Non vedo te, dove cazzo sei mentre ti cammino due passi indietro. ti giro in giro, per costringere la tua attenzione in un semicerchio con il perimetro che segue l'arco del mio corpo. che se mi parli smetto di lèggere. che se mi parli smetto di pensare e mi tornano via le sue immagini, leggère. e sotto la mia tenda, bagnata di condensa la mattina, al freddo dei mille e rotti metri del lago di campotosto. la prima notte, tutto questo freddo nelle gambe. ho dei problemi, nel tenere con me quello che viene da fuori. ad arricchirmi piacevolmente del fuori. tranne del freddo, che mi scortica lo spazio tra le dita. e del tuo freddo che mi formatta la mente, ti cancella e mi ribalta spazio-temporalmente indietro. Il rovescio dell'amaca. che devo fare io. che devo fare, sempre, io. ma la larghezza di campo imperatore, un'autostrada della polonia. da passeggiarci in ciao. poi ci restiamo e diventiamo vegetariani a forza di riso e di non voglia di fare la spesa, ancora. che le cose scadono subito. che io non scada ora, sotto il fumo della brace, sotto la luce terrosa dei camper che sgommano, dei cavalli che corrono, della mattina col vento e niente intorno. e niente intorno a saturare la mente, come un cotton fioc. nel cervello dopo uno sparo. seduta, una sigaretta per schiantare a terra una pressione che la montagna mi solleva e mi tiene a livelli normali. che mi sento forte, fisicamente forte. stretta nell'aria che sferza dopo il tramonto. su, a rocca di cambio, mentre scrivevamo il diario di viaggio, nemmeno la sentivo l'aria gelida. io. e voi che avevate tutti freddo. A colpi di vino.

poi il mare.